La paura di esporsi e il bambino non visto
La ferita di non essere visti
Tra le grandi ferite che ci portiamo dietro vi è il non essere stati visti da bambini.
Quando un bambino non viene visto nei suoi bisogni, nei suoi desideri e per quello che è, il suo cervello può "abituarsi" a una situazione di stress, di carenza, di mancato nutrimento, considerandola infine come unica realtà.
Crescendo, svilupperà delle strategie per cercare di gestire il dolore di non essere visto. Per esempio, potrebbe ritrovarsi bisognoso e dipendente da ogni briciola di attenzione. Potrebbe essere molto suscettibile alle critiche, perché già vive in una condizione interiore di perenne rifiuto.
Oppure, potrebbe sviluppare un distacco estremo, perdendo la capacità di entrare in relazione con se stesso e con gli altri. Della serie "se non sento, non soffro".
Potrebbe anche sviluppare atteggiamenti autodistruttivi, che vanno a creare danno nei rapporti personali o di lavoro, pur di non rischiare un probabile rifiuto.
Ci sono poi gli estremi, dove cadiamo nell'ambito della psicopatologia, che non ci riguarda – tanto per capirci, qui troviamo dal dipendente affettivo al narcisista che non è più in grado di provare empatia, se non fingendola temporanemaente.
Il rapporto con l'esposizione
Quello che a noi interessa sapere è che, se siamo stati bambini non visti, è probabile che non abbiamo un buon rapporto con l'esposizione: la vivremo o come qualcosa da ricercare a tutti i costi o come qualcosa da cui rifuggire.
In quest'ultimo caso, l'esposizione di sé, per esempio sui social o andando su un palco per fare conferenze, può essere vissuta come il doloroso rischio di venire giudicati, rifiutati o messi nuovamente da parte.
Non è l'adulto a sentire quella paura, ma il bambino che siamo stati e che, in un certo senso, governa le nostre emozioni, in quanto i nostri schemi emotivi vengono fissati nell'infanzia... e quel bambino è ancora lì, dentro di noi, spesso dimenticato, perennemente non visto.
Come fare?
Come fare se siamo stati bambini non visti? Come liberarci da quel condizionamento profondo che oggi ci rende più diffidenti e insicuri e che, magari, sta sabotando anche la nostra realizzazione professionale?
Ovviamente, ogni situazione è unica, ma personalmente ho seguito un lavoro su tre livelli ed è anche quanto propongo nei miei percorsi:
Livello della Consapevolezza: Si parte con il riconoscere che c'è un problema, un blocco. Non significa che si è sbagliati, ma che si ha la consapevolezza che ci sono emozioni, radicate nell'infanzia, che in qualche modo limitano il nostro potenziale.
Livello delle Abitudini: Attiviamo un graduale cambio di abitudini, in modo da rendere accessibile e confortevole quello che prima non lo era. Impariamo a impegnarci, a metterci in gioco, a scendere in campo.
Livello della cura di sé: Ricavaiamo del tempo per noi stessi e dedicarci all'ascolto dei nostri bisogni, dei nostri desideri e di quello che porta gioia al bambino interiore.
Il bambino interiore
Possiamo definire il "bambino interiore" come la parte spontanea e fragile di noi. È l'archetipo dell'innocenza, del gioire in modo libero, del gioco, dell'essere, del sentire, della purezza.
Come possiamo pensare di avanzare nei nostri passi senza avere con noi la magica e gioiosa energia del bambino interiore?
Se siamo stati bambini non visti, è probabile che ora, come adulti, abbiamo un bambino interiore non visto e siamo chiamati a riconoscerlo, a passare del tempo con lui, ad ascoltarlo, a percepire le sue richieste, i suoi desideri.
Uscire allo scoperto
I tre livelli di lavoro, descritti prima, sono in effetti tre modi per "vedere" il bambino interiore.
Per il caso specifico in cui desideriamo superare il disagio di esporci online, significa:
– Accendere la consapevolezza che il nostro blocco può avere origini nell'infanzia e che il timore di esporci, la timidezza, la vergogna o la paura, sentita dal bambino interiore, necessita di una "integrazione"
– Creare nuove abitudini che permettano di affacciarci sui social e metterci la faccia in modo graduale, passo dopo passo, per allargare la zona di comfort
– Curare i nostri bisogni e desideri, guidati dal bambino interiore, e verificare che gli obiettivi lavorativi siano allineati e non contrari a essi.
In questo modo diventiamo sempre di più il punto centrale del nostro nutrimento, del nostro sguardo. Ci scopriamo più capaci di uscire allo scoperto, perché la nostra missione non viene più condizionata dalla paura del rifiuto o del fallimento, ma dalla passione per il servizio che offriamo.
Camilla Ripani
Mentor & Life Coach
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