Aiutare chi non vuole essere aiutato

In genere è difficile aiutare chi non vuole essere aiutato. Vale per tutti noi: possiamo fare entrare nella nostra vita solo ciò a cui apriamo la porta. Se la porta rimane chiusa, nulla di nuovo entrerà.

E allora, come fare con chi non è pronto a uscire dai propri problemi né capace di tirarsi fuori dalle proprie proiezioni? Come fare per aiutare chi tiene la porta chiusa?

La risposta a questa domanda è composta di due tempi.

Lasciare un seme

Il primo tempo è che è sempre possibile lasciare un seme.

Il nostro compito non è cambiare gli altri, ma seminare tracce del cambiamento di cui siamo portatori. Vuol dire che, intanto, possiamo dare l’esempio, mostrare che è possibile prendere altre strade, lasciare testimonianza di una nuova realtà. E, quando arriverà il momento giusto, chi ne avrà bisogno seguirà quelle tracce.

Siamo tutti connessi

Il secondo tempo è che gli altri sono connessi alla nostra realtà interiore.

Il discorso è naturalmente ampio e articolato, ma ci basti sapere che esiste una parte di noi che è collegata con la persona che vogliamo aiutare e allora, agendo su questa nostra parte, agiamo indirettamente anche su quella persona. “Come fuori, così dentro e come dentro, così fuori” afferma l’achimia.

Il collegamento tra noi e la persona esterna può verificarsi, per esempio, attraverso le emozioni oppure coinvolgere il piano dell’ombra. 

La dimensione emotiva

Dal punto di vista delle emozioni, possiamo portare attenzione a come ci fa sentire il comportamento dell’altra persona: arrabbiati, frustrati, delusi, preoccupati, ecc… e poi entrare nell’ascolto di quella emozione – che comunque è dentro di noi, a prescindere da ciò che accade fuori.

Il lavoro è nell’ascoltare l’emozione, entrare nella sua realtà, trovare il modo di integrarla (anche con l’aiuto di un terapeuta o di un coach).

L’ombra

L’ombra entra in gioco, di solito, quando la persona che vorremmo aiutare ci suscita un qualche giudizio, un fastidio, un senso di repulsione.

Vogliamo sì aiutare quella persona ma, in realtà, siamo spinti dall’intento di cambiarla, correggerla, così che non disturbi più la nostra equazione di vita.

Questo accade quando quella persona è portatrice di un’energia (che si riverbera in atteggiamenti, pensieri ecc.) che noi stessi abbiamo rinnegato, giudicato, non accettato, relegato alla dimensione degli “inferi”.

Anche qui, il lavoro da fare è metterci in ascolto di quella energia, di quella qualità, e poi integrarla, che nel caso dell’ombra significa ritrovarla dentro di noi e permetterci di sentirla, di viverla.

Conclusione

Nell’integrare quelle emozioni e quelle ombre che riconosciamo grazie allo specchio datoci dalla persona che vogliamo “aiutare”, di fatto andiamo a influire anche sulla persona stessa, poiché introduciamo nel rapporto con lei degli elementi di novità, se pur sul piano energetico e interiore, che comunque vanno a rimescolare le carte in tavola.

Può accadere allora che la persona cominci “misteriosamente” a cambiare, ad aprire la porta, e raccolga i semi che le abbiamo lasciato.

Oppure può accadere che in lei non cambi nulla, almeno apparentemente, ma cambieremo noi e il nostro modo di farci coinvolgere nella situazione, e sarà comunque un modo più sano, “guarito” sotto altri punti di vista.

E anche questo, in fondo, è un modo di aiutare la persona, perché la liberiamo dalle nostre aspettative e dai nostri insoluti interiori.

Camilla Ripani
Mindfulness & Self-Discipline Coach

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